Un giovane re, all’età di 24 anni, perse la parola.
Egli governava uno staterello, lontano, sperduto, quasi misterioso, che stava in un puntino piccino piccino della carta geografica, lungo l’estesa linea di confine tra il continente europeo e quello asiatico: si chiamava SIMILA’.
Al momento non si riuscì a capire perché avvenne, fatto sta che, da un giorno all’altro, il Re finì di favellare.
Oh Mamma mia, ma che sconforto, tutti i suoi sudditi si intristirono. “Aveva una così bella voce”, “si, si, si, che bella voce che aveva”, pensarono in molti.
Ovviamente il Re non parlava, è vero, in compenso pensava molto, ma questo il suo popolo non lo sapeva dato che, lui, non poteva più dirlo a nessuno.
Quello che in verità nessuno conosceva o poteva immaginare è il motivo per cui il Re non volle più saperne di pronunziare parola.
L’apparato fonatorio del reale, diciamo così, era in splendida forma, semplicemente, egli, si stancò di parlare. Tutti parlavano, ma senza dire alcunché di significativo e, soprattutto, nessuno sapeva più ascoltare; erano tutti come sordi, incapaci di comprendere veramente l’altro da se. Svanita era ogni capacità di capire il mondo altrui. Ormai la parola aveva perso ogni significato. E cosi le parole non dicevano, anche se, a dire il vero, neppure il silenzio silenziava, infatti pur non pronunciando alcuna parola, i pensieri affollavano la mente del Re, come innumerevoli e pesanti locomotive, che a volte scorrono lente, e altre volte sbuffano a tutto vapore.
Scoprì che riusciva a sentire il silenzio solo con certi suoni della natura e che, ad esempio, piccoli gruppi di uccelli, al crepuscolo, che cinguettavano gli davano pace, così come il mare, il vento tra le fronde degli alberi, oppure le lingue sconosciute, esotiche.
Ma più di ogni altra cosa, la musica; il Re sosteneva che per fare il vero silenzio ci voleva la musica.
Passò del tempo e il Re incominciò a circondarsi di musicisti, ne infilò in gran quantità in ogni stanza.
Per un certo periodo il giovane imperatore, mantenendo fede al suo impegno, e dovendo comunicare con i suoi sudditi, la servitù, i consiglieri di corte, e chiunque altro, si servì di piccoli bigliettini che imparò a scrivere velocemente, ma ben presto scoprì le potenzialità di un altro mezzo molto potente, molto interessante.
Insomma, far silenzio, tacere, non profferire parola, o come dir si voglia, questo aveva portato molte idee al Re; inoltre, egli, aveva imparato soprattutto ad ascoltare.
Beh insomma, il mezzo potente e importante, la grande intuizione del giovane Re, era la musica; ed egli cominciò a comunicare con il prossimo solo attraverso i suoni.
Accadde una sera, durante una delle numerose, e un po’ noiose, feste di corte, a cui il Re presenziava silenzioso come al solito.
Tra gli invitati c’era una ragazza molto graziosa, e il Re ne fu immediatamente colpito.
Di getto si diresse verso di lei per dirle (…) oh, mah oh, mmh, per dirle cosa? Si ricordò che egli aveva deciso di non parlare più con anima viva.
E poi cosa avrebbe potuto dire?, quello che egli provava per quella ragazza non aveva parole.
Si chiese, allora, tra se e se, “come posso dire una cosa indicibile come il miscuglio di sentimenti che mi sta tormentando il cuore?”.
Tornato sui suoi passi, si sedette sul trono, e cominciò a canticchiare e a fischiettare, e si rese conto, che quella melodia raccontava tutto quello che avrebbe voluto dire alla ragazza.
Si avvicinò ai suoi musicisti e affidò loro la melodia che aveva canticchiato e fischiettato un momento prima.
Oh, beh, concorderete che canticchiare non è parlare, anche se, per cantare, si utilizzano la stessa bocca, le stesse corde vocali che si usano per parlare; quando si canta, però, non c’è un pensiero logico, non c’è un significato; il Re scoprì che la musica non aveva nessun senso, come quello che provava per la ragazza, e questo lo rincuorò molto.
Da quel momento in poi, a corte, ma non solo, fu tutto un fiorire di melodie e armonie; velocemente lo studio della musica si diffuse in tutta la regione.
Il Re cominciò a comunicare solo con i suoni, utilizzando, attraverso i suoi musicisti, intervalli stretti, ampi, dissonanze stridenti e più morbide, consonanze vacillanti o solide come la roccia. E poi le armonie, cosi ricche, che potevano contenere anche suoni in completo e totale disaccordo tra di loro.
Armonie in disaccordo?
Beh certo, solo nelle armonie musicali possono esservi suoni in completo disaccordo; infatti, tra le persone, si dice che esse sono in accordo solo quando tutti la pensano nello stesso modo.
Com’era ovvio tra il Re e la ragazza sbocciò l’amore, che si dispiegò come una musica libera, improvvisata, e di li a poco convolarono a nozze. La cerimonia nuziale, a differenza del solito, fu celebrata da un maestro concertatore, che diresse con la bacchetta da grand’orchestra: sposi, testimoni di nozze, parenti e tutto il resto. L’unica cosa che non cambiò rispetto ai soliti usi, furono i cori, a bocca chiusa, degli invitati, già alticci.
Ogni qualvolta che il Re voleva esprimere un sentimento si appartava con i musicisti e cominciava a cantare una melodia, e i musicisti cominciavano a predisporre gli intervalli e le armonizzazioni che più si avvicinavano all’idea melodica del Re.
Velocemente questa modalità espressiva si diffuse ovunque nel piccolo regno e tutti cominciarono a comunicare con i suoni; in ogni villaggio, nelle campagne più sperdute, fu tutto un fiorire di melodie che passeggiavano, lavoravano, studiavano, viaggiavano.
Se ti capitava di passare per il regno di SIMILA’ a quell’epoca, avreste potuto sentire un’infinità di melodie che risuonavano una accanto all’altra, e che sovrapponendosi formavano armonie libere, come infiniti gruppi musicali che suonano uno accanto all’altro, in un caos apparente, ma dove, in realtà, ogni tema si nutriva dell’altro, vicendevolmente, e la sensazione era di bellezza moltiplicata all’infinito.
Come tutti i sentimenti e gli affetti riescono ad assumere infinite sfumature e gradazioni, così anche le melodie erano iridescenti, libere.
Inimmaginabile la forza di questo modo di comunicare, e tale era l’idea di libertà che essa donava che, ben presto, si sviluppò in tutto il mondo.
Ma appena fuori dai confini del piccolo regno di SIMILA’, a qualcuno, questa libertà cominciò a non piacere, e in molti iniziarono a fissare sulla carta delle melodie che, a dir loro, meglio esprimevano i sentimenti, e invece che lasciar libere le persone di inventare nuove melodie, imposero a tutti i loro canti, alquanto banali.
Quel che veramente stupì gli abitanti del regno di SIMILA’ fu che, con l’andare del tempo, le persone, con molta facilità, per esprimere i loro sentimenti utilizzassero partiture sempre uguali, che reperivano nei supermercati delle melodie, negli uffici delle melodie, nelle banche delle melodie, come ad affermare che ci potessero essere due sguardi uguali, due sorrisi uguali, due identici modi di toccare e di abbracciarsi, e così via. Fu così che, senza averne piena consapevolezza, le persone, utilizzando sempre più melodie simili, se non proprio uguali, si impoverirono, preferendo la comodità di utilizzare melodie, melodie, melodie. Melodie altrui.
Avevano una grande paura quelle povere persone, la paura di dover sentire i loro affetti, forse, oppure invidia per gli affetti altrui, e di quelle qualità che, probabilmente, loro stessi, non si riconoscevano; o chissà, per motivi commerciali. Fu così che le persone cominciarono ad affidarsi alle melodie che si trovavano sul mercato, invece che creare loro stessi quelle che gli appartenevano.
Anche nelle scuole fu così. Agli alunni venivano insegnate solo le frasi musicali che ormai erano entrate nell’uso standardizzato, e in certi disperati casi, avevano anche l’arrogante convinzione di poter spiegare agli alunni il preciso significato di quelle composizioni musicali; e così la potenza liberatoria delle melodie del regno di SIMILA’, venne completamente disattesa e il suo messaggio radicalmente sovvertito. Distrutto.
Fu tale l’offesa che il Re, si chiuse in se stesso, smise anche di cantare; l’unica forma di comunicazione fu per lui esclusivamente l’ascolto; la cosa si estese anche ai suoi sudditi.
Anche la moglie fu presa dallo sconforto, e un giorno accadde addirittura che qualche breve parola ricominciasse a riaffiorare dalla sua delicata bocca.
Tuttavia quelle poche parole più che un significato continuavano a specchiare l’animo dolce della donna, assomigliando ancor più ad un canto, ma ciò nonostante, il vecchio imperatore, intimorito dall’accaduto, promulgò un editto, secondo cui, d’accordo con la sua gente e la consorte, il regno di SIMILA’ non esisteva più; pertanto, di questo paese, oggi non v’è più traccia, ne sulle cartine geografiche, ne sui libri di storia. Quel popolo si salutò, semplicemente, come quando si scioglie una compagnia teatrale, e il Re chiese a tutti di emigrare, in un perenne vagabondaggio, per donare, a tutti, il loro sentire.