L’immagine riflessa nello specchio e l’originale; il RElefono.

Accade, sempre più spesso, di rimanere incollati al telefonino a guardare immagini che scorrono veloci; una quantità di immagini impressionante, visioni di gruppi di persone apparentemente legati dalla vicinanza fisica, ma uniti realmente solo dall’assenza che si moltiplica nella compresenza dei corpi consegnati all’ignoto. Facebook, Google, instagram, tutti i vari portali di vendita on line, youtube etc. etc. etc.. Tutte immagini sulle quali ci soffermiamo soltanto per qualche istante, siamo abituati alla velocità; riusciamo a valutare tutto ciò che osserviamo ad una velocità sorprendente, e la velocità cresce sempre più vorticosamente. Ne deriva una quantità di immagini sempre maggiore, gesti bulimici, inconsapevoli, che non affaticano lo stomaco ma la mente; una mente che è sempre più incapace di immaginare vista la super fruizione di immagini altrui. Poi all’improvviso, per una strana angolazione del telefonino, oppure una voce che ci distrae richiamando la nostra attenzione altrove, per qualche secondo, lo schermo va in stand by, diventa nero per una questione di risparmio energetico. Allora quando riprendiamo il contatto col telefono, per un attimo, ci vediamo riflessi nello schermo che ci fa da specchio, ma quell’immagine la rifuggiamo, non la riconosciamo più e ci disturba, a volte, vederci nello schermo. Il volto è sempre inadeguato, mai abbastanza levigato, mai abbastanza pulito, mai abbastanza perfetto il trucco o la cura della barba; è sempre tutto così distante dalle immagini che siamo abituati a vedere scorrendo quelle nel telefono. Ci sbrighiamo allora a riavviare il cellulare per riprendere la visione di qualcosa che ci somiglia ancor più di quello che vedevamo riflesso nello schermo nero del telefono. Probabilmente quelle cose che osserviamo nella rete parlano di noi meglio di noi stessi. Siamo diventati quelle cose e non c’è più differenza tra il fuori e il dentro, di noi. La realtà esterna coincide con quella interna, e se quella interna rappresenta anche la nostra umanità, non stupisce assistere alla valutazione degli esseri umani solo in termini economici; siamo visibili esclusivamente in termini di produttività, ovvero di quanto riusciamo a soddisfare il mondo delle transazioni economiche, seppur minuscole o mastodontiche che siano. La rete, la tecnica, sono la nuova forma del mondo, quindi spesso, inconsciamente, non rimane altro da fare che assoggettarsi a questa nuova forma, così che l’unica forma possibile dell’uomo è quella in cui egli diventa funzionale a tale forma. La tecnica come fine, non più come mezzo. Non riconosciamo più il nostro volto perché probabilmente è ancora troppo umano, almeno rispetto al volto che, noi stessi, pian piano costruiamo dentro di noi, abbandonandoci sempre più come individui, avvalorandoci sempre più come gregge.

 

 

Un pensiero su “L’immagine riflessa nello specchio e l’originale; il RElefono.

  • 15 Ottobre 2018 in 17:21
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    Questa purtroppo è la triste constatazione di un processo in atto… Mi colpisce il fatto che molti dei miei coetanei e quindi non giovani, non ragazzini, migliorino la propria immagine da mettere sul loro profilo… tolgono le “imperfezioni”, si fanno appunto giovani e seducenti, fuori da un tempo e da uno spazio reale, fuori dalla caducità che è parte della vita, contraddistinta dal cambiamento. Si rendono oggetti inanimati, manichini, finti, come se fossero prodotti da esporre e le relazioni ne divenissero lo scambio. Si polemizza tanto e poi? Ci lasciamo intrappolare nel vortice di questa perfida illusione… A me piace cercare vie d’uscita e credere che le persone possano in ogni momento riprendere contatto con la loro verità e dare spazio alla loro vera immagine, quella di esseri umani, viventi e liberi, ognuno diverso dall’altro, imperfetti. A scuola lavoro molto sulla bontà e la bellezza della nostra diversità, e anche della nostra imperfetta limitatezza che ci permette di crescere e ci dà l’occasione di incontrare l’altro, è un’arma vincente anche dal punto di vista strettamente biologico. Su un loro lavoro, alcuni ragazzi hanno scritto: “Ogni imperfezione garantisce unicità” e questa frase è diventata il mio motto. Sì perché siamo pezzi unici, irripetibili – ogni essere vivente lo è come ogni oggetto “naturale” e non artificioso – questo ci dovrebbe allargare il cuore e spingerci a prenderci cura di noi stessi, con gesti di premura e non con gesti di falsificazione, che ci trasformano in”cose”… Forse una delle strade per riprendere il contatto con la nostra autenticità è anche chiederci: “Chi voleva omologare le persone, farle perfette rispetto ad un fantomatico ideale, eliminare i malati (non le malattie!), tutti coloro che per qualche motivo erano “diversi”? Chi venerava l’efficienza, voleva corpi perfetti, amava la velocità, considerava la tecnica e la scienza come un fine e non come un mezzo?”
    Con la consapevolezza, forse, potremmo scuoterci, disgustarci ed uscire dal vortice di questa risucchiante e perversa illusione…
    Sono sicura che allora troveremo occhi, che rifletteranno il nostro vero volto con la possibilità di amarlo e mostrarcelo amabile.
    deb

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