“Disagio sociale in forte aumento, siamo
sotto pressione. Serve una risposta di
comunità”

Il primo tema è quello delle risorse: il finanziamento per la salute mentale in Italia raggiunge
il 3% della spesa sanitaria. Da anni si discute di portarlo al 5% ma ancora non se ne è fatto
nulla. Questo è un elemento che preoccupa molto. E ciò si traduce in una difficoltà nel fornire
una risposta ai crescenti bisogni della popolazione. Inoltre, ci sono delle notevoli variazioni a
livello regionale, soprattutto in sanità, in termini di investimenti ma anche di servizi. E
l’autonomia differenziata rischia di accentuarle. Un altro capitolo molto importante è che
vorremmo che i valori, i princìpi alla base della riforma sanitaria possano diventare patrimonio
comune, condiviso a livello nazionale senza essere costantemente messi in discussione.
Queste riforme sono nate nell’ambito di un percorso di affermazione di diritti importante per
il nostro Paese, penso per esempio al diritto all’aborto. Non vorremmo tornare a mettere in
discussione questi princìpi e questi valori, come ha fatto questo governo che, ancor prima del
voto, ha posto delle criticità sulla 194 (la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza).
Laddove l’Italia investe il 3%, in altri Paesi europei si arriva ad investire anche tre volte tanto: 8,
10, anche 12%.
La pandemia ha creato una situazione di stress prima acuto e poi cronico incremento della
domanda. Alcuni disturbi sono fortemente aumentati, come quelli del comportamento
alimentare e soprattutto tra gli adolescenti. La condizione sociale è diventata più
difficile: sono aumentate le povertà, le difficoltà delle famiglie, la solitudine e i servizi sono
sotto pressione. Occuparsi di salute mentale vuol dire avere attenzione alla vita concreta delle
persone: non solo alla patologia, ma alle relazioni, al lavoro, al reddito, a tutti i diritti di
cittadinanza. Le condizioni di marginalità, di povertà, di abbandono scolastico, i traumi
infantili sono tutti fattori che espongono gravemente le persone al rischio di sviluppare
disturbi mentali. Se i diritti delle persone non vengono sufficientemente tutelati, questo ha un
impatto molto forte sulla salute mentale e sul benessere della comunità.
Il bonus psicologo può essere la toppa di un periodo. Dobbiamo però essere consapevoli che il
sistema pubblico, anche nelle migliori condizioni, non raggiunge l’intera popolazione delle
persone che hanno dei disturbi. Allora bisogna capire come articolare meglio il sistema. La
salute mentale è una componente essenziale della salute. Si deve fare uno sforzo per cercare
di creare un sistema territoriale che dia risposte, come le case della comunità o le scuole. Il
bonus psicologo tenta di portare la psicoterapia come unica prestazione alla persona ma non la
collega a tutte le altre componenti della salute mentale. Dà una risposta parziale, pensando che
il soggetto possa con la sola psicoterapia risolvere il problema. Talvolta è così, ma per le
situazioni più impegnative la salute deve fare riferimento a un modello bio-psico-sociale,
culturale, ambientale.
È importante cominciare a parlare di salute mentale anche da altri punti di vista. L’obiettivo è
che ogni comunità sia in grado di affrontare i propri problemi. Tutti possono fare qualcosa per
la salute mentale dell’altro. C’è un grande bisogno di riscoprire il valore della partecipazione
e della comunità. Io credo che noi abbiamo un grande patrimonio che mette a disposizione dei
più fragili la possibilità di avere risposte. L’appello le vuol migliorare, vuole cercare di dare
prospettive a delle persone che si trovano in condizione di grande sofferenza, la loro e quella
delle loro famiglie. 

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