La comparsa del linguaggio nel bambino segna il momento in cui la complessità della realtà esterna e quella dell’ altro si incontrano e creano immagini completamente nuove.
Un bambino che parla crea le sensazioni e i desideri mentre li esprime, affina i bisogni e li distingue via via dalle esigenze di crescita.
Un bambino che parla ha avuto modo di imparare l’ alternanza suono-silenzio e impara ad ascoltare, quindi a decentrarsi.
Un bambino che parla supera il narcisismo del lattante senso-motorio, che esplora con il corpo e con la bocca, fase importantissima ,ma che va superata attraverso la comparsa dell’ empatia: mi metto nei tuoi panni perché con le parole mi parli della tua storia di gioco, mi apri un varco verso la tua fantasia, mi poni un confine e mi esprimi un dolore.
Un bambino che parla non usa più la struttura ripetitiva del sottrarre il giocattolo o del gioco esplorativo solitario: gioca con l’ altro a “fare finta” e un ramoscello diventa un telefono in cui le parole diventano una musica verso un uditorio che non si vede.
I bambini che parlano sono irrimediabilmente tutti diversi e sfidano gli adulti a rapportarsi con queste complesse differenze, a creare loro dei contenitori ricchi di stimoli, ma anche di confini, dove le identità si sviluppino ma non si confondano, per costruirsi adulti creativi, permeabili e non rigidi, che sapranno sempre che fuori da sé non c’è niente di uguale a noi, ma sempre somigliante.