Già dai primi mesi di vita, il sorriso è il centro potente della relazione. Ogni genitore conosce il valore immenso del primo vero scambio di sguardo con il suo bambino, segnato dalla comparsa del sorriso in risposta al suo sorriso: senza questa magica apertura relazionale anche le parole tardano a comparire, perché le parole, per emergere, hanno bisogno di essere segno di una relazione. Lo sguardo che inaugura il sorriso è segno di apertura fiduciosa all’altro; è apertura fiduciosa alla reciprocità da parte di chi, affacciandosi alla vita, cerca nella relazione la possibilità di un “riconoscimento”: per conoscere noi stessi abbiamo infatti bisogno dello sguardo dell’altro, che ci rimanda il nostro valore, che ci segnala approvazione o disapprovazione, che ci fa sentire amati e custoditi o al contrario ignorati e abbandonati.
Quando poi prende il via l’adolescenza, lo sguardo si arricchisce di valenze nuove perché guardare ed essere guardati sono i due movimenti al centro dell’attrazione erotica: lo sguardo è ciò che con maggiore facilità può mettere in moto il desiderio del maschio, mentre la femmina cerca dall’uomo lo sguardo che le permette di sentirsi confermata nel proprio valore di donna.
Lo sguardo che i due sessi si scambiano nel percorso che li porta verso la vita adulta dovrebbe essere in continuità con quel primo, profondo desiderio: quello di riconoscere e di venire riconosciuti, e quello di potersi reciprocamente fidare; uno sguardo che vede il valore intangibile dell’altro, e che legge in lui/lei un altro soggetto, con cui scoprire la sessualità come parte di una relazione capace di costruire legami ricchi di affettività e aperti a possibili progetti.
Qualcosa di grave, invece è accaduto: nel mondo adolescente di oggi il problema più grande non è più legato alla eventuale precocità dei rapporti sessuali, ma allo scollegamento sempre più massiccio del sesso dagli affetti e dalla relazione, e ad una crescente pornificazione del sesso, che ha trasformato tutti in oggetti e ha tradito il bisogno profondo di riconoscimento reciproco. Il consumo di pornografia online è una piaga sotterranea misconosciuta, drammatica e profondissima, che ha corrotto e continua a corrompere sempre più sia lo sguardo degli adulti che, soprattutto, quello dei più giovani.
La realtà che ci circonda ci mostra purtroppo sempre più spesso gli effetti di questa grave corruzione dello sguardo: lo sguardo del maschile sul femminile, con le violenze e gli abusi gravissimi che ne conseguono, ma anche lo sguardo con cui il femminile riesce a leggere se stesso, di cui è segno tra tutti il fenomeno dilagante del sexting tra le ragazze.
Maschile e femminile si guardano l’un l’altro non più come soggetti interessati alla bellezza complessa della relazione, ma come soggetti in cerca della soddisfazione del piacere sessuale, in un mondo che è diventato un mercato pieno di oggetti che inducono a cercarlo e promettono di soddisfarlo. Uomo e donna si fanno così, spesso volontariamente, oggetti sessuali l’uno per l’altra, alla ricerca di un piacere che, in quanto tale, è sempre auto-referenziale e a-relazionale.
Il diritto al piacere è stato messo al primo posto e svincolato sia dall’idea di responsabilità che dal riferimento a un valore oggettivo delle azioni; non sembra più esistere un’etica condivisa intorno a ciò che è bene o male sul piano dell’agito sessuale, perché ciò che conta si riduce ormai solo a definire in modo che si vorrebbe sempre più preciso la presenza o meno di un consenso tra le parti.
Secondo il sentire comune, se siamo in grado di affermare che tra la parti c’è consenso e se possiamo concordare a che età e in quali condizioni tale consenso sia da ritenersi valido, ogni azione, sul piano sessuale, va ritenuta una libera scelta personale e dunque è da considerare eticamente accettabile.
Ci scandalizziamo dunque (e come potrebbe essere diversamente?) per l’ennesimo, terribile stupro di gruppo, che infierisce su vittime sempre più giovani; e cercheremo (anche giustamente) tra i disagi familiari, le povertà sociali e le incompetenze educative, le ragioni che possano dare una parvenza di spiegazione all’accaduto e che possano perciò lasciare aperta la speranza di trovare soluzioni preventive. Ce la prenderemo con internet e i social, e arriveremo forse anche a dirci finalmente in modo più chiaro che la pornografia fa male, e a trovare qualche protezione più efficace per impedirne l’accesso ai nostri figli.
Ma siamo sicuri che questo basterà, se noi adulti continueremo a seguire la linea che ci porta a separare il sesso dal suo significato relazionale, a collegarlo solo al diritto al piacere, a far uso della pornografia, e a pensare che nel comportamento sessuale si tratta solo di avere la maggiore età e di avere il consenso informato dell’ altro?