Quando i detenuti diventano artisti

Uno dei lavori realizzati dai detenuti del carcere di GrossetoIl 26 maggio 2014 alle ore 15.30 si è svolta presso la Casa Circondariale di Grosseto una performance con i detenuti a conclusione del primo anno del Progetto di Arte e Musica, a cura dell’ Associazione AICS MoviMenti.  I partecipanti al corso, assieme ai docenti Prof. Piero Bronzi e Prof.ssa Debora Corridori hanno proposto al pubblico alcune improvvisazioni musicali e un dvd contenente quadri, musiche e poesie prodotte durante le attività.

L’ Associazione MoviMenti, dopo avere affrontato con varie iniziative sul territorio della provincia di Grosseto tematiche quali il Gioco d’Azzardo Patologico, la Ricerca sul Femminile nell’ Immaginario, attraverso seminari, rappresentazioni, eventi in piazza, ha rivolto l’attenzione verso l’Espressione e la Creatività delle persone Recluse.

Ognuno di questi ambiti, infatti, è stato considerato come la rappresentazione  di un “Mondo dentro una Gabbia” in cui l’identità, la vitalità, e la fantasia degli esseri umani vogliono liberarsi.

La prigionia della dipendenza di un essere umano da una macchina che promette fantasticate e impossibili vittorie è l’isolamento dal confronto con le persone, inevitabile per la creazione e lo sviluppo degli affetti, dell’identità, del desiderio.

L’isolamento di ogni donna che viene relegata nel ruolo rigido di una pornostar, o di una vittima, o di una velina, o di una femmina-madre-moglie-lavoratrice non più donna, nega l’evoluzione di sé, la scelta del libero fluire dei propri cambiamenti, la possibilità di utilizzare il proprio tempo e il proprio spazio per la crescita personale.

I reclusi oltre che vivere in condizioni fisicamente disumane di cui ormai tutti siamo a conoscenza, non hanno a disposizione i programmi e i mezzi concreti per il cambiamento personale che è il progetto fondamentale all’interno dell’esecuzione delle pene detentive.

La reclusione obbliga la persona che ha commesso un reato a muoversi all’interno di uno spazio circoscritto e sempre uguale, in cui il confine tra possibile e impossibile appare scontato, tremendo e netto. Anche il superamento dell’idea di sé come identificato solo con il reato rimane rinchiuso tra gli spazi angusti e i tempi dilatati del sempre identico a se stesso.Un altro lavoro dei detenuti del carcere di Grosseto

Attraverso i suoni e le immagini in questi mesi di attività musicali e pittoriche, l’Associazione MoviMenti  ha voluto esplorare insieme ai detenuti luoghi possibili e impossibili, reali o di fantasia, in cui non serve la libertà fisica per muoversi e dove anche le persone libere, per potervi entrare, devono andare oltre se stesse, per promuoversi nel riconoscimento di un sé creativo e non distruttivo.

Un sentito ringraziamento va, infine, a tutti coloro che hanno reso possibile il concretizzarsi di questo progetto e, a tutti i detenuti che hanno scelto di parteciparvi e a tutti coloro che hanno assistito alla performance.

Attraverso i suoni e le immagini in questi mesi di attività musicali e pittoriche, l’Associazione MoviMenti  ha voluto esplorare insieme ai detenuti luoghi possibili e impossibili, reali o di fantasia, in cui non serve la libertà fisica per muoversi e dove anche le persone libere, per potervi entrare, devono andare oltre se stesse, per promuoversi nel riconoscimento di un sé creativo e non distruttivo.

Un sentito ringraziamento va, infine, a tutti coloro che hanno reso possibile il concretizzarsi di questo progetto e, a tutti i detenuti che hanno scelto di parteciparvi e a tutti coloro che hanno assistito alla performance.

Casa Circondariale di Grosseto

26 Maggio 2014

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

E alla fine il cielo

Questa splendida gallery fotografica è fatta con le illustrazioni di Debora Corridori per il libro “E alla fine il cielo“, edito da Edizioni Effigi di Arcidosso.

 

Questa performance di lettura, musica e istallazioni si incentra sulla figura di Pia de’Tolomei, sul canovaccio del libro di Piero Bronzi e Debora Corridori “E alla fine il cielo”.
La storia di questa donna, cantata da Dante Alighieri nel canto 5 del Purgatorio e narrata in svariate maniere nei racconti popolari è quella del suo matrimonio con Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, nobili senesi del 1300. Nello parte per la guerra, Pia lo aspetta, fino a che non viene riferito all’uomo che la moglie lo tradisce. O almeno così Nello dice, anche se forse vuole semplicemente sposare un’altra.
Qui la storia diventa tragicamente attuale: non si parla, non si domanda, non ci si mette in discussione. Si punisce. Si annienta. Pia verrà rinchiusa e segregata in totale solitudine in una torre al Castel di Pietra di Gavorrano fino a quando il marito non decide di farla uccidere.
Il drammatico” Siena mi fèdisfecimi Maremma” con cui Pia racconta la sua vita a Dante.
Salta agli occhi, appunto, la contemporaneità di questa storia di possesso di un essere umano verso un altro. Di un uomo contro una donna: tu non soddisfi il bisogno di conferma del mio Ego, quindi io ti isolo dal mondo fino a quando non sarai morta. Psichicamente sempre, troppo spesso anche fisicamente.
Ma, come vedremo, la nostra Pia è una donna che neppure di fronte al più bieco degli abbandoni perde la voglia di vivere. Ascolta voci lontane e si nutre dei cambiamenti che le mostra il fico che vede dalla finestra della sua galera. Nel ciclo vitale della pianta ella rivive le sue emozioni e i suoi ricordi, come se nell’evento della nascita delle foglie, dei frutti e infine nella caduta delle foglie, fosse contenuta e rivissuta, tutta d’un fiato, la sua vita; e nell’impossibilità di aspettare il rinnovamento e la rinascita di nuove stagioni e fioriture, Pia cede alla paura e all’inganno del tempo. Per poi fare un salto, ma non sappiamo bene quale. Per qualcuno è la resa, per qualcuno è la rinascita. E quando sopravviene l’autunno Pia scappa, vola, con le foglie caduche del fico e ci piace raccontarvi che non è una morte la sua, ma una fuga dalle sbarre che serve da immagine di vita per tutti coloro che vivono dietro ogni forma di sbarra e di porta chiusa dall’ altro.
Sicuramente per noi la Pia è stato un percorso: più che raccontare la storia di una vittima è stato scoprire una immagine di donna che ci ricorda sempre che nelle sue forme armoniose e recettive è rappresentato il mondo non materiale umano, ricco, fertile e mai passivo: pensiero, sogno, realtà psichica, arte, creatività. Un mondo dimenticato e compresso, specificamente umano ed essenza di ogni donna come di ogni bambino e di ogni uomo.
Ma l’insostenibile e la compressione possono generare un’energia liberante, che porta all’essenza della vita e alla verità del proprio essere, per condurlo, anche attraverso vie non ortodosse o insospettabili, al movimento, all’espansione, alla leggerezza del volo e alla riconquista di un cielo, come possibilità, spazio e libertà.
L’esistenza di tutti noi, probabilmente è la storia di cieli perduti, dimenticati, rubati o negati e delle possibilità che la vita ci offre di riprenderli o scoprirli, in un susseguirsi di dialoghi, di incontri, di occasioni còlte o lasciate, di costrizioni e dilatazioni, di lotta tra vita e morte, per una continua espansione, però, verso la vita stessa, la verità e la bellezza …
“E alla fine il cielo” …

 

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Gioco d’azzardo: vizio o malattia?

Striscia contro il gioco d'azzardo patologicoIntervista alla Dr/ssa Roberta Minacci

Che cos’è il GAP?

E’ una vera e propria dipendenza perchè implica la fuga dalle proprie fragilità nei rapporti con le persone e, al posto di uno scambio, di un rapporto anche di lotta, con un essere umano, si mette la sfida con una macchina.
E’ una dipendenza perchè come l’abuso di alcool o di cibo non implica il gusto, il piacere: non è un gioco, non è divertente.
E’ una dipendenza perchè il bisogno di giocare aumenta e con esso aumenta la certezza di perdere.
E’ una dipendenza che se ne trascina altre dietro: una volta creato un danno economico, per non sentire il baratro in cui si sta scivolando l’abuso di alcool e/o di droghe è la norma.
Allorchè si coglie di avere danneggiato anche altre persone emerge la gravità di questa dipendenza: nasce il pensiero che la propria morte libererà tutti.
E’ una dipendenza clinicamente riconosciuta dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, catalogata dal DSM IV e curata presso i SERT e presso le Comunità di Recupero per le Tossicodipendenze.
Non è strano che il gioco d’azzardo venga pubblicizzato liberamente su televisioni e su internet?
La Legge non vieta il Gioco d’Azzardo né la sua Pubblicità.
Strano, perchè quella sulle sigarette è vietata, anzi sui pacchetti ci sono le famose frasi che ci avvertono che il fumo nuoce gravemente alla salute.
Forse, in ogni pubblicità è questo che andrebbe scritto: ‘Può generare dipendenza. E’ meglio non iniziare’.

Intervista con il Dott. Stefano Oliva

Spesso capita di sentirsi dire: “Ho il vizio del bere; del gioco…“; più raramente invece le persone affermano:
“Sono un alcolista; un fumatore dipendente (tabagista); un giocatore patologico”.

Ma l’alcol, il fumo, il gioco d’azzardo sono vizio o malattia?

La risposta più corretta è: dipende! Bisogna innanzitutto intendersi sui termini.
Il vizio, infatti, è un comportamento deliberatamente messo in atto, al quale si riferiscono connotati moralistici negativi. In sostanza è un comportamento.
La malattia invece è una condizione che il soggetto subisce e che lo priva di qualcosa (della salute in primo luogo).

Quando il vizio diventa malattia?

Il fumo, l’alcol, il gioco d’azzardo rimangono un “vizio” finché non insorgono le caratteristiche tipiche della dipendenza e cioè: la tolleranza bisogno di sempre più sostanza o più gioco per ottenere lo stesso livello di eccitamento l’astinenza nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere la perdita di controllo presunta
capacità di poter smettere, senza riuscirci nella realtà.
Così come esistono bevitori sociali e fumatori occasionali, esistono altresì giocatori sociali, per i quali il gioco d’azzardo rimane un’attività di divertimento, in cui investire deliberatamente parte del proprio tempo e del proprio denaro (circa il 95-96% di chi gioca d’azzardo o di chi beve alcolici). Per alcune persone, tuttavia, quello che sembrava un semplice vizio si trasforma in una vera e propria “schiavitù”, coinvolte come sono in dinamiche “prive di controllo“.

Dott. Stefano Oliva

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"