Non è successo niente

 
 Io vedo, vedo tutto – dietro al mio silenzio vedo tutto …

(da un film di Ingmar Bergman)

 
Uno) Il volto di una donna in primissimo piano (sullo sfondo la vegetazione del lago dell’accesa) la bocca che si contorce languidamente, in preda ad un sottile piacere.
 
     IL CANTO DELLE CICALE E’ FORTE…
 
         STACCO

 
Da un rubinetto sgorga dell’acqua calda, mani che lavano i piatti, nel primo pomeriggio, dopo pranzo.
 
     LE DUE IMMAGINI SI ALTERNANO, ALCUNE VOLTE.
 
     Fino a che ….
 
Un piatto cade nel lavandino e si rompe ….

 
      La fonte 1
L’inquadratura scorre lentamente, da sinistra verso destra, va dall’acqua che schizza sulla pietra fino a incontrare La donna che osserva muta e immobile l’acqua. Essa se ne sta in piedi con le mani appoggiate al bordo della vasca, presa di fianco; poi in piano frontale, più stretto.
L’inquadratura scende fino al piano dell’acqua della vasca.
 
Titolo: NON E’ SUCCESSO NIENTE. Sulla striscia scura dell’acqua.
 

Scena della famiglia, immobile, in giardino.
L’uomo al centro, scuro in volto, guarda la macchina da presa, le bambine, con una palla vicino ai loro piedi, guardano immobili il papà (come in un quadro) la mamma lavora velocemente a qualcosa dentro alla macchina.
La scena finisce quando la donna si ferma.
(Tutta la scena scorre molto rallentata).

 
Donna sdraiata a pancia in su.
Guarda le nuvole, e/o le scie chimiche (eventualmente vi fossero).
Le nuvole guardano lei(Varie inquadrature).
Muove ritmicamente i piedi, facendoli ruotare sui talloni.
 
Nuvole – Lettura, parole quasi incomprensibili, come dette a se stessi, dentro di se.
 
Spuntano in cielo, all’improvviso;
all’inizio piccole,
un alito di vapore;
Poi sempre più grandi;
 Cambiano forma,
qualche capriola (una risata smorzata mentre leggi) e
alla fine scompaiono, silenziose.
 Mi fanno da specchio le nuvole,
e da sotto è come guardare me stessa, quando faccio
i miei sogni strani;
Si muovono, si muovono, si muovono, così…,
senza una meta;
Chissà se lo sanno dove andranno a finire, spinte
dal vento e nient’altro;
ogni volta, sembra quasi
di intuire una direzione,
una forma.
 
Ogni nuvola è tutte le nuvole;
Ogni nuvola è nuvola ovunque;
non come me che posso essere solo una, e
sempre me stessa in un solo corpo;
quando le guardo, le nuvole, in cielo, per
un breve istante, anch’io
posso essere: formica,
elefante, gigante, martello,
oca, balena, valigia, albero…
Per un attimo mi metto fuori, appesa,
ad aspettare la mia nuvola, e
quando la vedo mi trasformerò in essa:
uccello, fiamma, foglia,
onda, pesce, drago;
e sarò salva,
almeno fino a quando anche la mia nuvola,
non scomparirà nel nulla.
 
Questa scena, con voce recitante fuori campo, termina con un stacco sulla donna che guida e che va a bagnarsi i piedi al fiume.

 
      La fonte 2
 
La donna carezza il pelo dell’acqua molto dolcemente.
Adesso guarda dentro la vasca.
 
La fonte – Lettura, parole quasi incomprensibili.
Acqua di fonte, schiocco di scintilla,
che parli mille lingue, e scivoli veloce;
mani e viscere, racchiusa, infinita, nello stesso istante.
Acqua di fonte, che mi contieni,
antico braciere di abbracci senza peso,
e sinuosa, come il serpente che sbuca tra le stoppie.
 
Il testo continua sull’immagine successiva.
 
Due) La donna, nello stesso punto del lago dell’Accesa geme tra le braccia di un uomo, l’uomo la tocca ovunque.
L’immagine si è un po’ allargata,
Lei apre le gambe e gode soddisfatta, lasciandosi andare.
Il volto dell’uomo non si vede.

 
Gatto muore sulla strada – incidente nell’attraversamento.
 
Sulla parole stacco sulle immagini della strada che scorre fuori dall’automobile.
 
      Poi…
 
La telecamera è bassa, soggettiva del gatto che scruta la strada per tentare l’attraversamento – Lettura, parole quasi incomprensibili.
 
Auto che corrono, strisce veloci di luce sull’asfalto.
  Lettura…
Il gatto, ormai da molti minuti, osserva la strada, nel punto in cui l’attraversa quasi ogni giorno, più volte al giorno.
Cerca di intuire il momento giusto, ma non è sempre facile, non per un gatto.
Si ferma, guarda, annusa, sbircia a destra e a sinistra con lo stesso sguardo smarrito dei bimbi, ma non è convinto, troppe macchine oggi; e anche se sono le stesse macchine sulle quali si sdraia a riposare nelle sere d’inverno, quando il motore è ancora caldo, lui, non si fida.
Sapesse che è l’ora di punta, proprio il momento in cui c’è maggior traffico, forse andrebbe a fare un giro, a rincorrere qualche farfalla, o una lucertola, oppure se gli va bene, qualche passerotto.
Invece non sa niente di uffici che chiudono, gente che rientra a casa spazientita, la velocità delle auto, l’insofferenza delle code.
Sente bene le zampe oggi, e la sua velocità gli fa credere di essere invulnerabile, imprendibile.
Altre volte attraversa languido, calmo, noncurante, ma stavolta vuole scattare; quel frastuono continuo delle auto lo innervosisce terribilmente.
Si schiaccia a terra, carica allo spasimo le zampe, un ultimo sguardo alla strada, già si immagina di là, oltre le auto che guizzano.
Non possono prendermi.

 
      La fonte 3
Ancora la donna che guarda l’acqua e si sporge sulla vasca.
 
La donna si lava i capelli, ad occhi chiusi.
 
Paura del buio – oblio, cecità.
 
Esco di casa, di sera, tardi.
Premo l’interruttore e il lampo negativo della luce che si spenge, facendomi precipitare nel buio, mi stordisce.
Non vedo più niente, ma quante volte mi è successo, lo so, dopo un po’ gli occhi si abituano.
Allora aspetto, 1, 2, 3, 4 forse 5, interminabili secondi.
Sto ferma con gli occhi spalancati, ma niente, non vedo niente.
Allora impaurita dal buio interminabile, chiudo gli occhi.
“Il buio ad occhi chiusi è una cosa normale”, penso.
Mi tranquillizzo con questo pensiero.
Mi dico “devo contare fino a dieci, ma no, facciamo venti”.
E così conto fino a venti (conta in modo giocoso, divertito, come quando si conta per giocare a nascondino) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, apro gli occhi.
Niente, niente ancora.
“Dov’è finito il mondo”, mi chiedo, accennando quasi un sorriso.
Ma il volto ritorna subito serio.
Decido di chiudere nuovamente gli occhi, in quel momento è l’unica cosa che riesco a pensare, di nuovo, il pensiero che il buio ad occhi chiusi sia una cosa normale, mi tranquillizza.
Rimango ferma, esattamente nel punto in cui stavo nel momento in cui ho perso la vista.
“Ma no, cosa vado a pensare, non posso aver perso la vista”, apro ancora, gli occhi sono aperti, sono sicuro di averli aperti, ma non cambia niente, tutto è come prima.
Mi siedo.
Dovrebbero esserci le stelle, oramai.
Accendo una sigaretta.
Mi sdraio in terra e mi metto a pancia in su.

 
     La fonte 4
Di nuovo la donna che guarda dentro la  vasca per un fugace attimo.
Poi però la donna è nuda dentro la vasca piena d’acqua.
Si dovrebbe riuscire a sommare la figura della donna che si sporge sulla vasca a quella della donna sdraiata dentro la vasca.

 
 
La donna fa il bucato – poi va a tendere i panni al filo.
C’è vento, molto vento.
Un vento che porta via ogni cosa – Lettura, parole quasi incomprensibili, lette sorridendo continuamente.
Vento, vento scolpisci le mie mani, solleva
solleva la mia pelle stanca, strappa
strappa da terra il mio corpo, fai
fai che di me non rimanga niente
di ciò che ero.
E di ciò che sarò non pronunciare parola.
Non svelare il segreto, ruba
ruba tutte le mie parole,
leggere come cardellini
Adesso sono solo gusci vuoti
Voglio tornare al mio silenzio dimenticato, sai
sai tu chi sono io
Vento, vento
ma non dirlo mai
Che io già più non sono.

 
Finale Tre) La donna e il suo amante fanno l’amore, lei sta sopra e l’uomo è seduto per terra con la schiena appoggiata ad un albero.
Simultaneamente, la stessa donna, toglie le scarpe, le sistema ordinate per terra in riva al lago.
Si spoglia completamente lasciando ogni cosa ordinata per terra.
Si lascia addosso solo il suo enorme cappello in testa, e si avvia verso il centro del lago.
L’immagine dei due amanti e quella della donna che si spoglia si alterneranno per un po’ di volte.
Lentamente va giù fino a quando non rimane altro che il cappello a galleggiare sul pelo dell’acqua.
Si vedrà per ultima la tensione dell’orgasmo, subito dopo, il cappello che galleggia nel lago.
 
L’ULTIMA IMMAGINE – La donna gioca a pallavolo con le figlie.
Mi sono vista nel tuo sguardo mentre cercavo solo quello che non sono, e ho trovanto quello che non credevo di essere.

In punta di piedi

“In punta di piedi” è una poesia di Debora Corridori nata all’interno del progetto “La gioia dell’impossibile” – musica, parole e immagini dal carcere, in cui l’autrice racconta in forma poetica l’esperienza personale che ha vissuto con i detenuti della Casa circondariale di Grosseto. La poesia è stata letta da Maria Rita Pagni, membro dell’Associazione culturale Movimenti, durante la performance finale dei detenuti il 26 maggio 2014. Successivamente la poesia è stata arricchita da alcune immagini elaborate da Piero Bronzi, interpretata da Maria Rita Pagni e dall’autrice stessa, e proposta al concorso Internazionale di poesia “Alda Merini”.

In punta di piedi …

In punta di piedi

ho bussato

a una porta irta

di chiavistelli

e vincoli …

Difficili da penetrare,

difficili da condividere.

Non sapevo che cosa avrei trovato …

oltre.

In mano poche idee,

un po’ di tempo …

il misterioso desiderio di esserci,

inconsapevolezza.

In punta di piedi mi sono avvicinata …

apparente lontananza di un mondo estraneo,

vite scoperte a forza,

dolore e privazioni insopportabili,

abbandoni e rimorsi,

voglia di farcela,

paura di farcela …

camicie di forza legate strette strette

a un cuore avido e generoso di parole …

In punta di piedi,

colori, forme, racconti

conquistano il vuoto,

scavato giù in fondo

da acqua impietosa,

paziente e testarda di tragedie quotidiane

o fiume in piena di inganni ed eventi crudeli:

il vuoto cangia in spazio,

possibilità …

occasione …

gioia dell’impossibile,

inspiegabile, inattesa, presente …

Avete colmato di semi preziosi

queste mani incerte e indegne …

ad ogni incontro …

e in punta di piedi, come non so,

germogliano nel mio giardino

nuove piante da offrire …

Vorrei aver lasciato qualcosa anche io …

Vi lascio la mia gratitune …

E uno spiraglio sulla bellezza che siete,

più potente,

sempre,

di ogni ingannevole voce assassina,

che si ostina a negarla.

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"
slot machine

Il gioco d’azzardo nell’era post-moderna

slot machine
Slot machine

Una giocata fortunata poteva bastare per entrare nel concilio dei maghi, o per mandare in prigione un nemico (notorio o intimo), o per incontrare, nella calma oscurità della propria stanza, la donna che comincia a inquietarci e che non speriamo di rivedere; una giocata avversa, invece, poteva significare una mutilazione, l’infamia, la morte. A volte un fatto solo – il taverniere assassinato da C, l’apoteosi misteriosa di B – era la soluzione geniale di trenta o quaranta sorti. Combinare le giocate era difficile; ma bisogna ricordare che gli uomini della Compagnia erano (e sono) onnipotenti e astuti.

La “Lotteria di Babilonia” di Jorge Luis Borges è l’incredibile testimonianza di un uomo condannato dalla società che ha fatto della vita un gioco: gioco di azzardo in cui i destini individuali, straordinari o terrificanti, sono estratti a sorte.

Tutto è affidato al caso, o alle misteriosi decisioni di una “Compagnia” che gestisce, tramite la lotteria, le infinite interpolazioni tra fato e possibilità che determinano gli eventi e i destini individuali. Nessuno si può sottrarre.

Nessuno si vuole sottrarre.

Il racconto di Borges dà corpo alla sua angosciante metafora di cosa significhi, da parte di un’intera società, consegnarsi senza condizioni all’arbitrio, rinunciando al governo della propria vita. Sfuggire al sistema organizzato delle regole della convivenza, rendendole capriccio, speranza, terrore.

Non così diverso, allora, dalla speranza nella fortuna che nutre chiunque non abbia più fede nell’equità della società in cui vive.

Che successo ha la lotteria, quando permette di ribaltare il proprio destino perché altro modo non c’è.

Non solo a Babilonia!

Da questa breve introduzione e collegandomi alla concettualizzazione di Bateson, dove nessun fatto può essere spiegato senza considerare l’intreccio delle circostanze entro cui tale fatto emerge e si sviluppa, approdiamo alla definizione usata da Foucault L’ontologia del presente”. che individua come ciò che accade oggi è l’annuncio di qualche profonda modificazione in corso che tocca la natura umana.

Allora la domanda nasce spontanea: Cosa è successo nel passaggio dalla modernità alla postmodernità?

Il primo tassello per formare il puzzle entro il quale si formano le nuove dipendenze e quindi il disturbo da gioco d’azzardo, lo possiamo individuare in quello che il sociologo Zygmunt Bauman definisce come il prodursi del disagio della post-modernità:

“L’instabilità è il terreno della nostra società. Le persone oggi sono insicure, non sanno come fare da soli, sfuggono alla solitudine, all’abbandono con fb, Social network, chat, sms. La

comunicazione digitale ha influenzato lo sviluppo delle dipendenze. La vita off-line dipende dalla vita on-line. Viviamo in 2 mondi diversi schizofrenici: on-line e off-line. Noi comunichiamo circa per 7 e mezzo attraverso gli schermi. Prima si viveva on-line in comunità ora si vive off-line in rete. E’ una vita con delle offerte molto attraenti. Tutto è più facile! La comunicazione digitale è infantile.

L’ideatore di fb ha capitalizzato la paura dell’uomo di rimanere solo! Questa situazione liquida, volatile imprevedibile può spingere le persone a “buttare la spugna .”

L’umiliazione dell’impotenza e del fallimento è la sensazione diffusa che spinge le persone a non rimboccarsi più le maniche. Oggi la vita non è più un pellegrinaggio per raggiungere degli obiettivi, Ma un gioco d’azzardo!!Nella società liquida la ricerca della felicità è come andare in bicicletta…Appena ti fermi, e non pedali, cadi!!

Quindi, come fenomeno sociale, possiamo considerare il gioco d’azzardo, come tutte le dipendenze, l’emblema dell’attuale disagio: un disagio che riflette una situazione sociale euforica ma che cela aspetti disforici e paranoici. La postmodernità è caratterizzata dal conseguente sfaldamento delle certezze stabili che possono indicare all’uomo un qualsiasi sentiero definitivo. E parafrasando ancora Bauman: “Non ci sono più pellegrini ma solo vacanzieri”! La postmodernità è stata il “contenitore” adeguato a contenere la crisi del senso

esistenziale dell’individuo. Dove sono i riferimenti pregnanti che possono determinare con sicurezza l’identità personale? Sulla spinta della tecnologia, che rappresenta sempre di più la forza trainante della contemporaneità, l’uomo assiste ad uno sfaldamento e a un frammentarsi delle sue certezze, della sua identità, del suo tempo. La velocità con la quale la scienza moderna modifica il senso della realtà rende quasi inutile il tentativo di definirsi e

di permanere da parte di un qualsiasi significato.

Accanto alla depressione, Valleur e Matysiak (2004) sottolineano come le nuove dipendenze- quelle senza sostanze – (gioco d’azzardo, internet, sesso, lavoro, telefono cellulare e shopping compulsivo, ecc.), siano innegabilmente malattie rappresentative della post-modernità. Alcuni autori (Caretti e La Barbera 2005) ridefiniscono il concetto evidenziando come esse siano “espressione di un disagio psichico profondo e di un malessere culturale vasto e pervasivo” e “seppur ogni forma sembra caratterizzarsi per degli aspetti specifici, esse nel loro insieme manifestano un desiderio di fuga e un’incapacità a tollerare il dolore mentale che porta, a volte quasi consapevolmente, a rinunciare all’uso del pensiero e della riflessività a favore di una scarica emozionale iterativa messa in atto con modalità progressivamente sempre più compulsive”.

E quindi qual’è la funzione del gioco nella post-modernità?

E’ ciò di cui parla Borges: è illusione di cambiamento e potente segnale di sfiducia nelle proprie possibilità di incidere efficacemente sulla propria vita: alea (rischio) piuttosto che competenza e sforzo. Nel gioco d’azzardo ritrovo emozioni forti, divertimento, svago, parentesi da una quotidianeità angosciante e insoddisfacente.

Ma bisogna anche sottolineare che non tutti gli individui che giocano d’azzardo sviluppano una forma patologica di dipendenza.

Le condizioni di vulnerabilità all’addiction, e quindi allo sviluppo di una dipendenza patologica, sono sostenute da una combinazione di fattori in grado di produrre un alto potenziale additivo:

le alterazioni neuro-psico-biologiche che, in sintesi, si possono identificare in alterazioni dei sistemi della gratificazione, con una contemporanea bassa efficacia del controllo prefrontale degli impulsi.

un contesto sociale favorente che spesso è caratterizzato da relazioni familiari problematiche, scarsa presenza di offerte attive di prevenzione, scarse regole e leggi di controllo e deterrenza e alta pressione pubblicitaria;

lo stimolo e le sue caratteristiche ed in particolare la facile disponibilità e accessibilità, l’alta frequenza d’uso, l’intensità, la capacità di creare un effetto gratificante e nel contempo un effetto inibente su ansia, pensieri ossessivi, depressione e noia (Bougu 2011, Potenza 2011).

Colgo l’occasione per sottolineare un ultimo aspetto: l’importanza della pubblicità. La pubblicità del gioco d’azzardo è in grado di influenzare fortemente le persone vulnerabili a spendere forti somme nel gioco. Al fine di evitare questo tipo di stimolo e prevenire quindi l’inizio di un comportamento di gioco problematico, e successivamente patologico, sono state individuate una serie di azioni che si ritiene opportuno possano venire adottate a livello nazionale. Tali misure, sulla base della letteratura scientifica evidence-based,

(Pasternak 1999, Ladouceur 1999, Volberg 2000, Mitika 2001, Sibbald 2001, Volberg 2002, Shaffer 2002, Korn 2005, Monaghan 2010, Binde 2005, Friend 2009, McMullan 2009, Derevensky 2010, Fried 2010, McMullan 2010, Livingstone 2011 B, Planinac 2011, Sklar 2010), si sono rivelate efficaci nel ridurre il numero di giocatori d’azzardo. Tra queste in modo sintetico riporto:

  1. Non incoraggiare il gioco d’azzardo in alcun modo e rappresentare l’astensione dal gioco d’azzardo come un valore positivo;
  2. Ridurre fortemente l’impatto pubblicitario mediatico indiscriminato e incontrollato, evitando la diffusione ambientale generalizzata e il possibile raggiungimento di target inconsapevoli e particolarmente sensibili (effetto protettivo delle fasce giovanili e adolescenziali ed anziane) durante tutte le ore del giorno e della notte.
  3. Non utilizzare o restringere fortemente e regolamentare la pubblicità dei giochi d’azzardo in ambiente esterno (strade, piazze, locali, ecc.) e via mediatica (tv, radio, internet, giornali, ecc.), al pari di quella del fumo di tabacco, evitando di far diventare un valore sociale e di costume i comportamenti d’azzardo.
  4. Non utilizzare per la pubblicità, neppure indirettamente, persone minorenni (o apparentemente tali).
  5. Evitare la diffusione generalizzata delle slot machine, circoscrivendole solamente ad alcune specifiche sedi di gioco.
  6. Aumentare il costo delle singole giocate.
  7. Attivare campagne di prevenzione nelle scuole per fornire agli studenti (inizio più efficace da 6 – 8 anni con linguaggio idoneo) e ai genitori messaggi precoci su:
  • Segni e sintomi “sentinella” di esistenza del problema
  • Modalità per affrontare precocemente il problema
  • Rischio per la salute mentale, fisica e sociale
  • Consapevolezza delle vere probabilità di vincita
  • Informazioni sui servizi cui rivolgersi in caso di problemi già esistenti (per giovani con più di 15 anni)
  1. Attivare azioni di prevenzione selettiva orientate alla diagnosi precoce dei fattori di rischio in giovanissima età (disturbi comportamentali, del controllo degli impulsi, della gratificazione e della motivazione, ecc.) e dei comportamenti di gioco problematico.
  2. Realizzare campagne informative per i genitori e gli insegnanti affinché monitorizzino i figli/studenti anche relativamente alle proprie spese sia con denaro contante, sia con carte di credito (utilizzate per il gioco su internet).
  3. Stampare supporti cartacei ed elettronici relativi a tutte le forme di gioco d’azzardo circa le reali probabilità di vincita e l’elenco dei possibili effetti collaterali (al pari delle sigarette).
  4. Prevedere campagne specifiche per gli anziani da divulgare nei luoghi in cui essi si ritrovano frequentemente.
  5. Prevedere la realizzazione di campagne informative nazionali e periodiche sulle reti tv e radio (come per il fumo). (Gambling. Manuale per i Dipartimenti delle Dipendenze- G. Serpelloni).

A tal proposito, è utile evidenziare che le campagne pubblicitarie del cosiddetto “gioco responsabile o consapevole ” non si sono dimostrate efficaci in termini di prevenzione del gioco d’azzardo.

Come concludere? Nell’illusione di guadagno e nell’eccesso si smarrisce la

consapevolezza della certezza della perdita. In questo periodo di crisi economica e

depressione, quando PIL e Spread perdono punti, il mercato del gioco d’azzardo fiorisce

come un sogno atteso. La pubblicità è l’anima del commercio e vende sogni a chi ha già

poche speranze.

Vi lascio con questa frase estratta dal libro “ Il Piccolo Principe” che vuole essere anche un inno al ritorno a ciò che un tempo erano le strutture che connettevano, non reti ma relazioni!

“Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami! » disse la Volpe.

«Che cosa vuol dire addomesticare?» disse il Piccolo Principe. «È una cosa molto dimenticata. Vuol dire ‘creare dei legami’»”.

Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry

Dott.ssa Antonella D’Andrea

© 2012-2014 Tutti i diritti riservati. Psicologi @ Lavoro è di proprietà di Liquid Plan srl

E alla fine il cielo

Questa splendida gallery fotografica è fatta con le illustrazioni di Debora Corridori per il libro “E alla fine il cielo“, edito da Edizioni Effigi di Arcidosso.

 

Questa performance di lettura, musica e istallazioni si incentra sulla figura di Pia de’Tolomei, sul canovaccio del libro di Piero Bronzi e Debora Corridori “E alla fine il cielo”.
La storia di questa donna, cantata da Dante Alighieri nel canto 5 del Purgatorio e narrata in svariate maniere nei racconti popolari è quella del suo matrimonio con Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, nobili senesi del 1300. Nello parte per la guerra, Pia lo aspetta, fino a che non viene riferito all’uomo che la moglie lo tradisce. O almeno così Nello dice, anche se forse vuole semplicemente sposare un’altra.
Qui la storia diventa tragicamente attuale: non si parla, non si domanda, non ci si mette in discussione. Si punisce. Si annienta. Pia verrà rinchiusa e segregata in totale solitudine in una torre al Castel di Pietra di Gavorrano fino a quando il marito non decide di farla uccidere.
Il drammatico” Siena mi fèdisfecimi Maremma” con cui Pia racconta la sua vita a Dante.
Salta agli occhi, appunto, la contemporaneità di questa storia di possesso di un essere umano verso un altro. Di un uomo contro una donna: tu non soddisfi il bisogno di conferma del mio Ego, quindi io ti isolo dal mondo fino a quando non sarai morta. Psichicamente sempre, troppo spesso anche fisicamente.
Ma, come vedremo, la nostra Pia è una donna che neppure di fronte al più bieco degli abbandoni perde la voglia di vivere. Ascolta voci lontane e si nutre dei cambiamenti che le mostra il fico che vede dalla finestra della sua galera. Nel ciclo vitale della pianta ella rivive le sue emozioni e i suoi ricordi, come se nell’evento della nascita delle foglie, dei frutti e infine nella caduta delle foglie, fosse contenuta e rivissuta, tutta d’un fiato, la sua vita; e nell’impossibilità di aspettare il rinnovamento e la rinascita di nuove stagioni e fioriture, Pia cede alla paura e all’inganno del tempo. Per poi fare un salto, ma non sappiamo bene quale. Per qualcuno è la resa, per qualcuno è la rinascita. E quando sopravviene l’autunno Pia scappa, vola, con le foglie caduche del fico e ci piace raccontarvi che non è una morte la sua, ma una fuga dalle sbarre che serve da immagine di vita per tutti coloro che vivono dietro ogni forma di sbarra e di porta chiusa dall’ altro.
Sicuramente per noi la Pia è stato un percorso: più che raccontare la storia di una vittima è stato scoprire una immagine di donna che ci ricorda sempre che nelle sue forme armoniose e recettive è rappresentato il mondo non materiale umano, ricco, fertile e mai passivo: pensiero, sogno, realtà psichica, arte, creatività. Un mondo dimenticato e compresso, specificamente umano ed essenza di ogni donna come di ogni bambino e di ogni uomo.
Ma l’insostenibile e la compressione possono generare un’energia liberante, che porta all’essenza della vita e alla verità del proprio essere, per condurlo, anche attraverso vie non ortodosse o insospettabili, al movimento, all’espansione, alla leggerezza del volo e alla riconquista di un cielo, come possibilità, spazio e libertà.
L’esistenza di tutti noi, probabilmente è la storia di cieli perduti, dimenticati, rubati o negati e delle possibilità che la vita ci offre di riprenderli o scoprirli, in un susseguirsi di dialoghi, di incontri, di occasioni còlte o lasciate, di costrizioni e dilatazioni, di lotta tra vita e morte, per una continua espansione, però, verso la vita stessa, la verità e la bellezza …
“E alla fine il cielo” …

 

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"